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La tentazione di Sant'Antonio

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Messaggio  Turtle Gio Apr 29, 2010 11:33 am

La tentazione di Sant'Antonio Salvador_Dali_The_Temptation_of_St_Anthony

"La tentazione di Sant'Antonio" è un dipinto di Salvador Dalí ad olio su tela (90 × 120 cm), realizzato nel 1946.
Oggi l'opera è conservata al Musée Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles.

In seguito alle esplosioni della bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki nel 1945, Dalí diede inizio a nuove ricerche esistenziali e artistiche, passando dalle suggestioni della psicanalisi a quelle della fisica nucleare trasformata in un misticismo paranoico-critico, come racconta egli stesso nel suo saggio sulla spiritualità Manifesto mistico del 1951. Da questo momento in poi, infatti, egli rivolse la sua arte verso una maggiore riconoscibilità delle forme, ispirandosi prevalentemente all’iconografia religiosa occidentale. Questa straordinaria opera, dipinta a New York, risente appunto, di questo mutamento culturale e fu presentata al concorso indetto da Albert Levin - e vinto poi da Max Ernst - per la realizzazione dell’unica scena a colori del suo film sul soggetto Bel Ami di Guy de Maupassant. Nel quadro la tentazione appare a sant’Antonio in forma di un cavallo che s’impenna, simbolo del potere e della lussuria, e in forma di alcuni elefanti che portano sulla groppa diversi elementi dall’evidente connotazione erotica: una donna nuda e voluttuosa su un piedistallo, un obelisco romano ispirato al Bernini, alcune strutture architettoniche palladiane, e infine una torre dal simbolismo indubbiamente fallico. La particolarità affascinante di questi animali giganti, che dovrebbero rappresentare gli spiriti maligni che provocano il santo eremita nel deserto, è la deformazione allungata e sottilissima delle zampe, che permette loro di entrare in una dimensione di tramite tra la terra e il cielo, tra realtà e spiritualità.


Fonte (di quanto segue): scritti del prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio

I pachidermi che animano i suoi sogni-visioni hanno esilissime prolunghe al posto delle gambe (simili ai baffi dell’artista). I quattro elefanti trasportano gli emblemi della tentazione: una piramide recante una discinta donna che si massaggia con provocatoria sensualità; subito al retro un obelisco trasportato da un elefante recante una gualdrappa finemente ricamata d’oro; un tempietto cinquecentesco che appare su un lato come una sorta di frons-scenae al cui interno un nudo di donna (seni e ventre sino al limite pubico) annunciato sul tetto da un “daimon”suonante la tromba; molto vicino -quasi a trascinarli come su una stessa mensola- un edificio a pianta centrale vetusto, sul cui tetto vaga Ade. I quattro pachidermi hanno un colore blu chiaro dalle caratteristiche zampe come di ragno di fiume, lunghissime ed esili. Il primo ha la posteriore destra alzata da terra, avanzante. Gli altri tre sembrano di un’altra razza: hanno le caratteristiche zanne bianche. Ora il simbolismo di Dalì attinge in maniera indiretta alla fonte dell’Apocalisse di Giovanni dove nell’apertura dei primi quattro sigilli il bianco è isolato rispetto gli altri tre. Qui l’utilizzo monocromo li assottiglia ad un’unica funzione di accompagnatori come in un circo con un colore improponibile per la tavolozza di creature terrestri. Mentre tutti vagano verso l’ovest, il primo elefante avanza verso il Santo, in direzione sud, che si difende con l’unica arma possibile: il crocifisso ricavato da due legni uniti da una corda.

Dinanzi al gruppo di pachidermi sta un cavallo bianco. Apparirebbe scontato il riferimento al capitolo Diciannovesimo di Apocalisse ed invece l’animale è composto di un pallore che lo rende più vicino al quarto del Sesto capitolo del dissigillamento. Altresì è riscontrabile un’anomalia che ha dell’impossibile: gli zoccoli del cavallo hanno un fettone continuo, come un palmo, e a livello cromatico parrebbero costituiti da pezzi di legno. Normalmente ad un cavallo i ferri rimangono circa 45 giorni, di media, e sono affrancati da chiodi che li assicurano all’unghione detto “zoccolo”.

I ferri sono grondanti fanghiglia simile a liquami sulfurei e sostanze tossiche; inoltre assumono dinanzi all’osservatore una posizione impossibile: sono rovesciati come se l’articolazione avesse subito una flessotorsione con rotazione di 300° dell’arto [Allusione forse al tipo di tortura prospettata al Santo alfine di costringerlo ad abiurare per evitare un simile trattamento? Un’ipotesi alquanto probabile l’incubo ricorrente, l’angoscia per il proprio destino, l’inquietudine; il pittore ha caro il ricordo del crocifisso dipinto da San Giovanni della Croce, mistico che ben conosce ed ha introitato in tutta la sua ricerca estetica].

Il destriero è rampante, con le zampe posteriori lunghissime come cavallette, dalla conformazione anatomicamente inverosimile poiché un apparato scheletrico sì fatto non riuscirebbe a reggersi con quella forma. Non appare segno sessuale nel cavallo, la coda è innalzata sopra la testa del primo elefante a coprire la piramide trasportata recante una strana “fontana”: la donna nuda (riferimento indiretto alla “prostituta” dell’Apocalisse). La criniera è fumettistica e segue la tensione del capo rivolto a sinistra, orientata verso la parte destra del quadro ad indicare il suo seguito: i quattro pachidermi[Vorrei che si notasse il simbolismo aritmetico mutuato allo schema dei Quattro sigilli aperti dall’Agnello Bianco; è tipico dell’«arte apocalittica» l’inserimento di elementi scritturistici “de-contestualizzati” ma riscopribili per analogia].

Il destriero sbuffa e dalle sue nari esce fumo come nubi. La testa del cavallo è di profilo e ci consente di scrutare un’anomala dentatura: difatti i cavalli non hanno una dentatura continua come nell’uomo. Inoltre la positura rampante dell’equino ci richiama alle Scritture (“si sente lo sbuffare dei suoi cavalli; al rumore dei destrieri ... trema la terra”).

Parrebbe rivolto al Santo - intento nel suo romitorio desertico [ Più che nel deserto il Santo parrebbe su di un Pianeta desertificato, dal cielo terso nella parte sinistra (sopra al Santo) mentre presago della tempesta (tra le zampe dei pachidermi bufere) nel lato opposto. ]- una punizione come nell’AT ove Eliodoro è punito dagli zoccoli di un cavallo del cavaliere terribile.

I quadri di Salvador Dalí sono popolati di relitti di vita organica spenta da tempo immemorabile: ossa, frutti mummificati, fossili, conchiglie che sembrano muoversi nel deserto con cautela come bruchi. Qui il cavallo è rampante con gli anteriori in una posizione innaturale presaga di chissà quale martirio per il confessore di Cristo che riconosce con la pratica del suo digiuno un falso cavallo-bianco, pallido.

La citazione dell’Apocalisse è rovesciata: il cavallo biancastro qui è preludio o manifestazione non già del Giudizio Finale ma dell’opera di creature sataniche.

Inquietante un’altra immagine analoga di un frate che scaccia un pugile da lontano. Il gruppetto si trova poco più verso l’osservatore oltre le esili zampe dei pachidermi: entrambi paiono fantocci. Più in là sotto al secondo un altro pupazzo che si porta un bimbo per mano. E fra le zampe del quarto elefante un lenzuolo svolazzante sotto cumuli di nubi agonizzanti bufere. Forse l’immagine “ad libitum” del conflitto con l’ignoto ante-divino? Una lotta dell’umanità che protegge, come nel tracciato dell’Apocalisse giovannea, il proprio figlio...

Ogni figurazione ha una carica simbolica esaltata dall’utilizzo cromatico che crea una sorta di iridescenza intorno a tutte le creature terrificanti di questa visione. Per contro l’oscurità, il dubbio sotteso e cavilloso delle tentazioni, contorna di buio Sant’Antonio che capendo la reale situazione si genuflette nudo, con già l’aureola per la sua lotta interiore combattuta con abilità. Il vuoto gli sta intorno, lo isola. Un masso pare gli abbia incastrato il polpaccio della gamba sinistra su cui era genuflesso. Dinanzi a lui una terra lunare spoglia, infruttuosa senza naturalità, aliena alla creazione - una sorta di “tohu wa bohu”- ed un teschio ai suoi piedi ad interrogarlo se valga realmente la pena proseguire. E lui invoca l’ausilio in quel suo simbolo a farsi cruce-signato per superare quella tribolante prova.

E’ la rivincita del sogno, del dare immagine anche agli incubi, alle tentazioni di ognuno, di dare simmetria al noumeno sul dilagante ed imperioso “razionalismo”. E’ un processo di depurazione del “cartesianismo” ora risolto in una sorta di scrittura automatica dell’inconscio. Si struttura così l’analitico processo di dare colore al “fantastico”.

In quest’ambito il discorso apocalittico trova un suo statuto epistemologico articolato nelle molteplici figurazioni daliniane che scoprono ad ogni passo il gusto della visionarietà, che non è follia ma parte dell’umanità. Dalí è “Homo somniator”.
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Messaggio  Turtle Gio Apr 28, 2011 8:08 pm

Ecco "Il pulcin della Minerva" del Bernini (overo l'obelisco sorretto dall'elelefante) a Roma in Piazza della Minerva. Se vi capita, passate ad ammirarlo Wink

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